Aziende italiane apripista del jeans sostenibile

l blu di alcuni tratti del fiume delle Perle, terzo fiume cinese per lunghezza, è intenso, bellissimo, ma del tutto innaturale. Anzi, mortale. A denunciare il terribile inquinamento prodotto nel pianeta da una certa industria del denim è stato due anni fa il regista canadese David McIlvride, con il documentario “Riverblue”. Ma per fortuna non ovunque va così: c’è acqua che scorre pulita intorno a manifatture che riescono non solo a consumarne di meno (la media oggi è di 70 litri solo per le fasi di lavaggio di un paio di jeans), ma anche a reinmetterla nel suo ciclo dopo averla debitamente depurata. Accade in Italia, nel parco lombardo del fiume Ticino. Lì Candiani Denim ha appena compiuto 80 anni e ha annunciato che entro il 2020 produrrà il primo denim biodegradabile e compostabile al 100%. Accade anche lungo i fiumi di Bovolenta, in provincia di Padova, dove la manifattura Berto (fondata nel 1878) produce tessuti di alta gamma e a bassissimo impatto ambientale.

Secondo la società britannica Malcolm Newbery Consulting l’industria del denim nel 2017 ha generato un giro d’affari di 56,5 miliardi di dollari. Nel 2022 arriverà a 59,5, con una crescita del 5,1% trainata dai consumi nei Paesi emergenti. Uno sviluppo che mai come in questi ultimi anni si sta confrontando con le sfide della sostenibilità. «Sono i consumatori a chiedere ai brand un impegno preciso su questi temi – dice Guglielmo Olearo, direttore di Première Vision Paris e anche di Denim Première Vision, una delle più importanti fiere del settore -. Tracciabilità, trasparenza e sostenibilità sono le tendenze chiave di oggi e per per il prossimo futuro». Per questo, alla prossima edizione di Parigi, in programma a fine maggio, ci sarà per la prima volta una “Smart Square”, area dedicata proprio ai marchi e alle manifatture che hanno fatto della tutela dell’ambiente la loro priorità.

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