martedì, Ottobre 3, 2023
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Chili di troppo? Colpevoli i grassi, non i carboidrati

Secondo lo studio della Chinese Academy of Sciences gli zuccheri avrebbero un impatto minore sull’aumento di peso: la spiegazione sarebbe nella maggiore stimolazione di centri cerebrali della ricompensa, che spingerebbero a mangiare di più

BURRO o zucchero, cosa fa più ingrassare? A porsi questa domanda è stato un team di ricerca guidato dalla Chinese Academy of Sciences, a Pechino, che ha studiato il sovrappeso e l’obesità – un problema di salute pubblica che colpisce ben un italiano su tre – analizzando su modello animale il ruolo deicarboidrati, in questo caso gli zuccheri, e dei grassi. Secondo l’indagine, nel topo una dieta molto ricca in grassi, fino al 60% della composizione totale, aumenta la quantità di massa grassa e peso corporeo, un fenomeno che non avviene quando l’alimentazione è fondata soprattutto sui carboidrati. I risultatisu Cell Metabolism.

 

• LO STUDIO 
Lo studio ha incluso 30 diversi regimi che variano nel contenuto di grassi, proteine e carboidrati, i tre macronutrienti che compongono la nostra alimentazione. Fra i carboidrati, l’analisi ha riguardato soprattutto il saccarosio, il comune zucchero. La dieta è stata seguita dai topi per tre mesi, un periodo di tempo che corrisponderebbe circa a 9 anni per un essere umano. In totale, sono state effettuate più di 100mila misurazioni sul peso corporeo degli animali, mentre la loro massa grassa è stata valutata tramite risonanza magnetica.

 

In base ai risultati, ciò che fa aumentare l’adipe, ovvero il grasso sottocutaneo, sono i lipidi, mentre i carboidrati (circa il 30% delle calorie proveniva da saccarosio) non hanno mostrato alcun effetto e non hanno accresciuto la massa adiposa. Questo risultato è abbastanza sorprendente, secondo gli autori, dato che le linee guida internazionali raccomandano di assumere zuccheri nella dieta al massimo per il 10%, mentre secondo la ricerca corrente se si assumessero zuccheri fino al 30% della composizione dell’alimentazione giornaliera, questo non avrebbe effetti sulla massa grassa e sulla fame (ma forse sul metabolismo complessivo sì). Il risultato presenta comunque dei limiti, come riconosciuto dagli stessi autori, dato che è stato svolto su topi.

Le ragioni di questo risultato, proseguono i ricercatori, sono da rintracciare nel funzionamento del cervello. Secondo gli autori, stando ai risultati della risonanza magnetica, un’alimentazione molto ricca di lipidi (fino al 60% della composizione totale della dieta) fa ingrassare il topo perché stimola i centri cerebrali della ricompensa, causando l’aumento del consumo di questi alimenti e una maggiore assunzione di calorie. Alcuni percorsi cerebrali, simili a vere e proprie strade, ma fatti di cellule, si sono attivati maggiormente, come si legge nello studio: ad esempio quello della dopamina nella regione cerebrale dell’ipotalamo. Così l’animale continua a mangiare e supera il suo fabbisogno energetico, ingrassando.

• LA SAZIETÀ È COMPLESSA
Insomma, sono i grassi a far ingrassare? “L’articolo è interessante – spiega Filippo Rossi, ricercatore della facoltà di Scienze agrarie alimentari e ambientali presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore – il risultato viene motivato con il fatto che i lipidi sembrano stimolare maggiormente, nel topo, i centri cerebrali del piacere olfattivo/gustativo: questo elemento spingerebbe l’animale ad avere più fame e a mangiare di più, superando così le ‘colonne d’Ercole’ del suo fabbisogno energetico. Ma da questo studio non si può trarre la conclusione che i carboidrati non facciano ingrassare”.

Inoltre, prosegue l’esperto, ci sono diverse evidenze opposte. “Sono stati pubblicati vari studi – sottolinea Rossi – che mostrano che i carboidrati ad alto indice glicemico favoriscono la fame e l’assunzione di calorie. Altre ricerche, condotte sia sull’uomo che sugli animali, indicano che un maggior potere saziante derivi dalle proteine più che dai carboidrati e dai lipidi”.

L’appetito è regolato sia chimicamente sia fisicamente prosegue Rossi, e la componente fisica è rappresentata dalle dimensioni dell’alimento, per cui cibi a bassa densità energetica, ma molto voluminosi, come frutta e verdura, hanno un buon potere saziante. “Invece, la parte chimica della fame è regolata da un insieme di fattori, che si sostengono e si influenzano fra loro – aggiunge l’esperto – in passato, si dava importanza solo ad alcuni ormoni digestivi, come la colecistochinina Cck e poi all’insulina. Adesso si è scoperto che la stimolazione dei recettori del piacere alimentare ha un ruolo importante. Oggi, questa prova, su modello animale, sottolinea l’importanza dei lipidi, ma la situazione è sicuramente molto complessa e non si può dedurre che aumentare lo zucchero faccia bene o sia una soluzione, se non altro perché il diabete sarebbe dietro l’angolo”.

• COSA FA INGRASSARE 
Ciò che fa ingrassare è l’eccesso di calorie, concordano gli esperti, dunque un maggiore ingresso di energia rispetto a quanto ne viene spesa, il tutto in base al proprio fabbisogno energetico. Mentre in generale un pasto iperlipidico – che non deve diventare la norma – riduce il picco glicemico, come spiega Ilenia Ventura, biologo nutrizionista, calmando la fame più di un pasto a base di carboidrati complessi e zuccheri. Per questo, secondo l’esperta, lo studio su Cell Metabolism è in controtendenza rispetto al trend di ricerca attuale, che sta rivalutando i grassi, soprattutto quelli sani.

“Circa il 25-30% delle calorie giornaliere deve arrivare dai lipidi – spiega Ventura – di cui due terzi da quelli monoinsaturi (quelli dell’olio d’oliva) e polinsaturi (come gli omega 3), mentre circa un terzo da grassi saturi”. I grassi meno buoni, anche per la salute cardiovascolare, sono quelli trans, contenuti in vari prodotti industriali, come merendine, biscotti o altri alimenti elaborati, per i quali non bisogna eccedere nel consumo. Ciò che più fa male, conclude Ventura, non è il grasso sottocute, ma quello viscerale, che è distribuito negli organi interni e che è stato maggiormente correlato con il rischio cardiovascolare.

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