Un cerotto impiantato sottopelle si accorgerà delle alterazioni che portano al cancro, cambiando colore e mettendo in allerta il paziente. L’idea presentata su Science Translational Medicine al momento è solo una sfida. Ma se funzionasse, potrebbe essere estesa ad altri tipi di malattie
NON arriverà in farmacia in tempi brevi, ma il sensore messo a punto dal Politecnico federale di Zurigo per scovare il cancro nei suoi stadi iniziali ha il merito di presentare un’idea originale. Dagli strumenti di imaging sempre più potenti alla nuova, promettente tecnica che raccoglie gli indizi del Dna del tumore direttamente nel sangue, quello della diagnosi precoce è un settore su cui si investe molto, in oncologia. Il nuovo sensore, ancora agli stadi iniziali di realizzazione, promette di scovare tumori di prostata, polmone, colon e seno prima di ogni altro sistema di diagnosi.
I ricercatori svizzeri hanno sperimentato l’idea di impiantare sottopelle (per il momento solo alle cavie da laboratorio) un sensore a base di cellule sottoposte a ingegneria genetica e incapsulate in un cerotto rotondo, simile a un neo, di un centimetro circa. In presenza di livelli elevati di calcio nel sangue le cellule ingegnerizzate attivano una reazione a catena che porta alla produzione di melanina. Il neo, che prima era trasparente, si scurisce, diventando visibile, allarmando il paziente e spingendolo a farsi visitare da un medico. Chi trovasse ansiogeno vivere con il sensore costantemente sotto agli occhi potrebbe ricorrere a una versione del cerotto visibile solo sotto a una particolare luce rossa, disponibile nello studio del medico.
La cellula riempita di pigmento scur
La tecnica è descritta sulla rivista Science Translational Medicine. Gli stessi ricercatori ammettono che ci vorranno almeno dieci anni prima che il sensore sia messo a punto e sperimentato anche sugli uomini. Le cellule ingegnerizzate resistono all’interno del cerotto impiantabile sottopelle non oltre un anno. “E il calcio, tra tutti i segnali precursori di un tumore, non è necessariamente il più efficace” spiega Pier Giuseppe Pelicci, direttore della sezione “Meccanismi molecolari del cancro e dell’invecchiamento” all’Istituto Europeo di Oncologia di Milano. “L’idea di un sensore a base di cellule ingegnerizzate, però, è sicuramente interessante. In futuro potrebbe essere estesa ad altri marcatori, di cui pure si sente un gran bisogno. Penso alla glicemia, fondamentale per ottenere un buon controllo del diabete”.
Il cerotto descritto oggi andrebbe dunque considerato come una “prova di principio”; una dimostrazione della nostra capacità tecnica di manipolare il Dna delle cellule. Nel “sensore vivente” è stato inserito un gene capace di attivarsi in presenza di livelli di calcio che si mantengono alti per tempi prolungati, e di attivare a sua volta un altro interruttore genetico responsabile della produzione del pigmento scuro di melanina. Gli stessi ricercatori suggeriscono che il loro “tatuaggio biomedico” possa essere usato, in nuove varianti, per rilevare squilibri ormonali, disturbi renali o malattie neurodegenerative.